Cos'è chiedere senza avere risposte?
È aria mossa che impallidisce davanti alla prima tenue brezza.
Quando si completa con la risposta, si complementa e si prova ad unire, congiungere, a contattare e conolfattare, allora qualcosa torna unico.
I frammenti e i frantumi invertono la retta del tempo e, contro ogni principio entropico, si genera una stasi. Unica.
Poi c'è l'esterno, che lavora, che trama e medita tranelli e ti sputa passato e futuro in un calderone secco in faccia. E io cosa faccio? Penso all'unità ciclica di chiedere e rispondere, ascolto lo scrosciare di acque all'ombra di arbusti.
Il caso mi butta telefonate e occasioni, il fato mi ride e apre lo scrigno. E io rispondo col ghigno.
Puoi gettarmi tutto e tutte e ognuno addosso, ma se il muro è crollato e ha dato accesso non significa che non si sia ricostruito e ora celi a tesoro ciò che ieri è stato.
Cosa penso quando non penso? Che è senza senso, ma ti ringrazio.
Serve tempo, serve un tempio. Serve meno spremere le tempie e più capire che c'è ancora del buono là fuori. Del buono, del meglio e del migliore. In una manciata di ore.
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