Scavare.
Cuore che scava, mente che spala, spalla che che regge mentre tutto frana.
E ieri il ghigno. Il ghigno che È me, che sono io che mi vedo guardarmi mentre ghigno.
Non esiste alto o basso, non c'è separazione tra felicità e tristezza. C'è solo intensità.
Mi puoi chiedere: qual è il tuo più profondo problema, il tuo più recondito segreto che celi in maniera eccelsa? Qual è l'inaspettato che sbircia dal buio del cranio, che attende come un predatore nell'ombra?
Equilibrio.
È l'equilibrio.
Quando arrivo al picco più alto, subito il picco più basso si fa sentire. Non esiste estasi senza malinconia, non c'è amore senza odio.
E il ghigno, il ghigno che è la massima espressione dell'essere umano, la perfetta fusione tra il trasporto istintivo e il controllo razionale.
Il ghigno è allontanare il viso in estasi perché tu lo possa vedere, è il colpo di coda di una volontà trans-animale.
Ho riletto il passato, ho scenariato il futuro, mi sono ubriacato del presente. E c'è solo emozione. Di tutti i tipi, involontariamente nate e volonatariamente ricreate. C'è l'arte, c'è la solitudine, c'è il profumo della pelle sudata e l'accecante incoscienza negli occhi spalancati.
La voragine in me ieri sera si è riaperta, le domande e i ricordi assalivano a milioni. E cosa ho fatto? Li ho lasciati fluire. Un colpo alle gambe, la mano ha sbandierato in aria per istanti prima di trovare un appiglio. Ho lasciato tutto perforarmi, ho respirato il dramma della vita, ho visto le cose su cui non ho controllo, ho sentito le frasi dette da chi vive vite diverse. Ho tremato.
E poi mi sono rialzato.
Qual è il più grande profondo problema? Equilibrio. Tutto in un corpo, la carne invasa dai tremiti, il coinvolgimento totale bilanciato dalla coscienza. Determinazione sporcata da lussuria, trasporto frenato dal pensiero, aggressività lubrificata dalle lacrime, comunicazione incapsulata dall'anti-sofisticazione.
Fama nell'anonimato, fame nell'animale.
Osservare per non essere anticipati, disimparare per poter rivivere.
E infine Pace.
Comunque, dovunque, quantunque... sia il meteorite che mi centra il cranio e mi trascina la cassa toracica sotto i piedi, sia la lenta morte di debolezza, sia domani o sia immortalità; aria entra intrusiva ma necessaria nei polmoni e scomposta la mano strofina il viso e le palpebre appena serrate.
Lo chiamo l'Abisso, ma magari è la Torre d'Avorio. Oppure è il Mare o il Rifugio. Forse è un'Idra che risiede in me, forse un roditore che ratto si nasconde. Forse una Fenice o solo un Passero Solitario.
Quello che vive dentro è la causa, la colpa, il merito, il motivo di come sono.
Persèvera, si ciba, si priva, scompare e torna. E rinasce ogni volta più forte.
Quando reclino il capo sto solo guardando il cielo di un altro mondo, rovesciato su di noi.
D.0.A.
ah, sì, Equilibrio: