Saturday, 31 May 2014

In tensità

Capire. Carpire, afferrare, inglobare ed enucleare, assorbire, depositare, sedimentare, precipitare e raschiare.
Scavare.
Cuore che scava, mente che spala, spalla che che regge mentre tutto frana.

E ieri il ghigno. Il ghigno che È me, che sono io che mi vedo guardarmi mentre ghigno.

Non esiste alto o basso, non c'è separazione tra felicità e tristezza. C'è solo intensità.

Mi puoi chiedere: qual è il tuo più profondo problema, il tuo più recondito segreto che celi in maniera eccelsa? Qual è l'inaspettato che sbircia dal buio del cranio, che attende come un predatore nell'ombra?
Equilibrio.
È l'equilibrio.

Quando arrivo al picco più alto, subito il picco più basso si fa sentire. Non esiste estasi senza malinconia, non c'è amore senza odio.

E il ghigno, il ghigno che è la massima espressione dell'essere umano, la perfetta fusione tra il trasporto istintivo e il controllo razionale.
Il ghigno è allontanare il viso in estasi perché tu lo possa vedere, è il colpo di coda di una volontà trans-animale.

Ho riletto il passato, ho scenariato il futuro, mi sono ubriacato del presente. E c'è solo emozione. Di tutti i tipi, involontariamente nate e volonatariamente ricreate. C'è l'arte, c'è la solitudine, c'è il profumo della pelle sudata e l'accecante incoscienza negli occhi spalancati.

La voragine in me ieri sera si è riaperta, le domande e i ricordi assalivano a milioni. E cosa ho fatto? Li ho lasciati fluire. Un colpo alle gambe, la mano ha sbandierato in aria per istanti prima di trovare un appiglio. Ho lasciato tutto perforarmi, ho respirato il dramma della vita, ho visto le cose su cui non ho controllo, ho sentito le frasi dette da chi vive vite diverse. Ho tremato.
E poi mi sono rialzato.

Qual è il più grande profondo problema? Equilibrio. Tutto in un corpo, la carne invasa dai tremiti, il coinvolgimento totale bilanciato dalla coscienza. Determinazione sporcata da lussuria, trasporto frenato dal pensiero, aggressività lubrificata dalle lacrime, comunicazione incapsulata dall'anti-sofisticazione.
Fama nell'anonimato, fame nell'animale.
Osservare per non essere anticipati, disimparare per poter rivivere.

E infine Pace.
Comunque, dovunque, quantunque... sia il meteorite che mi centra il cranio e mi trascina la cassa toracica sotto i piedi, sia la lenta morte di debolezza, sia domani o sia immortalità; aria entra intrusiva ma necessaria nei polmoni e scomposta la mano strofina il viso e le palpebre appena serrate.
Lo chiamo l'Abisso, ma magari è la Torre d'Avorio. Oppure è il Mare o il Rifugio. Forse è un'Idra che risiede in me, forse un roditore che ratto si nasconde. Forse una Fenice o solo un Passero Solitario.
Quello che vive dentro è la causa, la colpa, il merito, il motivo di come sono.
Persèvera, si ciba, si priva, scompare e torna. E rinasce ogni volta più forte.

Quando reclino il capo sto solo guardando il cielo di un altro mondo, rovesciato su di noi.

D.0.A.





ah, sì, Equilibrio:

Thursday, 29 May 2014

>=

È maggiore o eguale.
Come fosse normale
provare
l'interminabile mare.

Tuesday, 27 May 2014

Parcheggi di schegge

Stragi di esitazioni e di stasi protratte, nell'istante sfugge un raggio di schegge che in agopunturale metodicità si conficcano nel cranio, inibendo la ragione.

Quando il controllo viene delegato all'istintivo saper muoversi, il cervello è parcheggio nel parcheggio e peggio per lui se poi non regge il freddo inferno di memorie che trafigge e su autostrade neuronali perpetua l'estasi.

Fare un voto al seggio sotto la pioggia: dare man forte ed un sussurro sino alla morte, errare alla ricerca e, una volta trovato, lanciare il programma per cui siamo stati programmati.
C'è una sequenza, un metodo, una serie di interazioni, ma la ragione ne resta fuori e il dualismo sincrètico si conclude: complimentarsi per complementarsi e complementarsi per complimentarsi.

Il tornado è solo aria, io sono solo carne. Ma l'azzurro che fa da cielo alla sfera del mio cranio è il tuo affresco più infestante, intrusivo e redentore.
Il parcheggio è la sala dove il capo reclino, dove il tempo declini, dove la paura scèma estirpata dalla stretta che toglie solitudine.

Saturday, 24 May 2014

Contrazione dei tempi

Droga. La parola che descrive meglio tutto.
Non solo la dipendenza, c'è proprio un senso di rarità, di élite, di priorità.
E altera la percezione del tempo. I giorni sono mesi e le ore sono giorni.

Il tempo batte il suo ticchettìo con la mazza sull'incudine e, come fenomeno emergente di giochi d'intervalli, con il suo pendolo di inquietudine entra in risonanza, poi in battimento, poi in asincronìa col cuore che ho in petto.
Finché tempo e cuore trovano una coreografia di contrazioni: il primo rallenta e sfiora asintotico l'immobilità, mentre il cuore accelera.
Sembra di avere un'MG42 che raffica da sotto lo sterno e vedo la luce dei miei traccianti dare colore al finora monocromatico mondo esterno.

Non c'è un'overdose di questo. Il corpo si ridistende ogni volta. Come un gas occupa tutto lo spazio disponibile e non basta.
La pressione scala, escala, esorbita e vola nel continuo.

La memoria tattile frega sempre, il bruciore dei mille aghi che risveglia di notte, il senso di smarrimento e di rifugio.
Sentirsi nudi eppure cònsoni, accarezzare il vuoto e il preludio è iniziato.

Contrazioni. Cioè tirare insieme a sé, trascinarsi verso l'epicentrico occhio del ciclone.

Perché è sempre stata una questione di occhi, vero?

Wednesday, 21 May 2014

Under a Serpent Sun

Take the alien invasion, the matrix and the post apocalyptic settings.
Is there a better description?
Cabled to a central source, like nightwalkers we dwell in the depth of the well that the nature forced around our need for satisfaction.
It's like an invading alien race had been able to subjugate us all without notice.
The most deep recesses of our existence are only shielded and hidden, crippled to preserve the status quo, blocked to ensure survival to this silent reign of terror.
Like not unexpected but indeterministic fluctuations, sometimes there are people that can scratch the surface. Someone can have a glimpse of the world outside the well. Someone can see beyond the curtain and, once the veil is cut, the lie becomes evident.
The ones who dare to challenge the silent empire become Survivors.
Their only refuge is the desert, the resistance, being outcasts and renegades.
Up to now it's only voyage. But then they tell you that, in the desert outside the cities of subliminal control,
"We live as one
Under a Serpent Sun"

Tuesday, 20 May 2014

Trasporto e oltre ogni porto

Forse non te l'ho detto, o forse sì.
Forse c'è un forse di troppo, probabilmente 2.
Non è facile costruire qualcosa di univoco quando i segmenti si respingono come dipoli carichi e popoli pavidi di pensieri si ritrovano in un'inedita agorà che sta nel nostro mezzo.
Del resto spesso mi sorge il dubbio che questo sia un enorme sogno, come un onirico viaggio negli abissi che mi popolano. Invece...

Esiste molto di più di quanto l'esigua esperienza ci può comunicare, molti più strati che notti insonni non possono che sfogliare superficialmente.
L'incastro è imperfetto: un certo agio viene concesso alle zone di contatto e quel sapore di inedito non può e non deve mai svanire.
Sia il vento che sferza, il sole che s'accalca o il principio di pioggia che ritmica tamburella una marcia appena iniziata; sia al riparo di vetrate o sull'erba che respira, in fortuiti luoghi di emergenza o nell'esatto posto dove ci troviamo.
Sia ovunque e quandunque, il profumo mi coglie sempre impreparato e la realtà perde i taglienti connotati.
Lo scivolare è involontario e di questo momento acquisito voglio solo l'accrescimento.

Forse te l'ho detto, ma troverò sempre le parole per dire cose nuove, per rendere vivo quello che già vivace ci muove.
Oltre le parole. Del resto blablabla.

Non c'è niente come sapere. Non c'è come sentire il ruolo che tiene il suolo sotto controllo e dona al cervello il sigillo di pace. E quello tace e lascia che cali l'ascia di una simbiosi inarrivabile.

Monday, 19 May 2014

L'estasi di estraniarsi per ritrovarsi tutt'uno

A volte le persone si ritrovano.
Si ritrovano in una selva oscura, si ritrovano dopo anni per puro caso, ritrovano sé stessi.
Le parole hanno forza, ritraggono immagini che nel subconscio effetto-dominano in una valanga di reazioni.
Le immagini nitide tratteggiano le azioni che le parole solamente non possono esprimere.

Quindi ci ritroviamo a immaginare:

-un costruttore, chiamiamolo pure un plasmatore o un creatore, ma è pur sempre un muratore.
Ora immaginiamo che il muratore sia bravo a costruire, veloce, efficiente, ma costruisce muri e barriere.

-una persona che vede solo pareti di una stanza, al di fuori della quale non importa. Una stanza straordinaria, dove tutto è possibile allo schioccar delle dita.

-un essere strano ed evanescente, un profondo abisso di analisi, chiamiamolo la Lacrima Nera, che non vola leggero ma si fa strada nelle giungle di arbusti e si inerpica per i crepacci più taglienti.

-una amazzone impavida e strategica, che medita le mosse, una cacciatrice che respira ogni sorso di vita, dall'umidità avvolgente e tremante della rugiada al quasi selvaggio ustionare ritmico del sole.

Se la Cacciatrice tentasse di inseguire la Lacrima Nera. Anche a costo di perdere la rugiada e il sole, a costo di perdere l'inseguimento rapido, sfregiandosi nei rovi e lungo i crepacci, ma raggiungesse la creatura. Se Lacrima Nera accettasse di lasciarsi raggiungere e perdesse la viscerale libertà di distruzione. Potrebbero trovare la via per la cima più elevata dove neve e sole si fondono in un unico silenzio d'estasi ultraterreno.

Se la persona nella camera capisse l'unica cosa che veramente vuole ed il muratore riuscisse a sfondare una parete anziché costruirla. Se un progetto comune prendesse vita e non una barriera, non quattro mura di una stanza, ma un ponte elevatissimo che porta in alto. Un ponte all'aperto, una via illuminata per la cima più elevata dove neve e sole si fondono in un unico silenzio d'estasi ultraterreno.

L'interazione, l'avvicinamento, la comunicazione si instaura nelle immagini e condivisione trasporta entità separate.

Che si ritrovano.

Tuesday, 13 May 2014

Scale

Quando ci si pone, in un eccesso di ambizione o di fede, mete irraggiungibili, esistono due modi di avanzamento.

Il primo modo è proseguire, marciare per non marcire, mettere tutta la benzina sul fuoco, gettarsi fit come bodybuilder contro le avversità, contando sull'esperienza e l'equipaggiamento acquisito. E bam addosso al muro per sfondarlo

Il secondo modo non lo si sceglie, avviene e serve solo percorrerlo: è cambiare di un filo, avanzare, migliorare un poco, avanzare, scostarsi da uno schema e di nuovo avanzare. Il secondo è rendere l'impervio pianeggiante.
Come i gradini di una scala.

Voglio un eternità sulle scale.

Saturday, 10 May 2014

Exp. acquired +343

In casi rari ma esistenti l'esperienza passata deve essere ignorata. Non siamo infiniti o eterni e il numero di sample è limitato.
Serve uno stato di fiducia, rimuovere il blocco che previene il dolore e... boh, dentro.

Questo tipo:

Friday, 9 May 2014

Il tempo delle risposte

Cos'è chiedere senza avere risposte?
È aria mossa che impallidisce davanti alla prima tenue brezza.
Quando si completa con la risposta, si complementa e si prova ad unire, congiungere, a contattare e conolfattare, allora qualcosa torna unico.
I frammenti e i frantumi invertono la retta del tempo e, contro ogni principio entropico, si genera una stasi. Unica.

Poi c'è l'esterno, che lavora, che trama e medita tranelli e ti sputa passato e futuro in un calderone secco in faccia. E io cosa faccio? Penso all'unità ciclica di chiedere e rispondere, ascolto lo scrosciare di acque all'ombra di arbusti.
Il caso mi butta telefonate e occasioni, il fato mi ride e apre lo scrigno. E io rispondo col ghigno.

Puoi gettarmi tutto e tutte e ognuno addosso, ma se il muro è crollato e ha dato accesso non significa che non si sia ricostruito e ora celi a tesoro ciò che ieri è stato.
Cosa penso quando non penso? Che è senza senso, ma ti ringrazio.

Serve tempo, serve un tempio. Serve meno spremere le tempie e più capire che c'è ancora del buono là fuori. Del buono, del meglio e del migliore. In una manciata di ore.

Wednesday, 7 May 2014

The day after the same day. Everyday.

If the sun and the 1/r gravitational potential wouldn't exist, we couldn't have a well known cyclicity, i.e. the day/night and winter/summer ones, injecting a sense of recursion and time.
One's life spanning would be a one shot one kill, one single day of growing and withering. No learning from mistakes and no retractations of previous statements.

Life is not that linear, thou, and my dayly struggle against the sinusoidal role reprising game is killing me.
Yesterday, meaning really early this morning, I wrote something on this very blog about thinking while not thinking and shit. I was damn tired and what I did ended up basically fucked up. And still I believe I have put in words something worth, even if I wouldn't publish it again in a sober state of mind.
Why? Because fuck you, that's why!

Because you don't really need an excuse to execute your own values, beheading the warnings you are heading to yourself.

There can't be regret  if someone doesn't get the misspelled and misplaced soft spot I'm always showing.

Cosa penso quando non penso

Siamo di nuovo a circolare come sangue, sono di nuovo a circondare in assedio una città fantasma.
Cosa fare quando so cosa fare? Come decidere a decidermi quando ho già deciso?

Parlare non serve e parlare non basta. Con una penna o una tastiera in mano va bene, me la cavo, costruisco e abito le mie barriere perfette. Poi, faccia a faccia, dubito e faccia a faccia voglio il subito.

Ed è sempre quel perdersi negli occhi, sempre a dimenticare che ci sono labirinti nelle teste delle persone da cui NON posso uscire. Cosa fare non lo so e come pensare non ci penso nemmeno a pensarlo.
Lascio essere e tutto sarà.
Volerlo o non volerlo non conta, ormai.
Se è un gioco almeno che abbia regole e se è un terno al lotto almeno abbia un buon montepremi. Siamo finiti solo quando finiami.