Non so perché questa notte sia La Notte. Ma so che il mal di schiena e le palpebre pesanti non riescono a smuovere le mie gambe.
La pelle sulle gote trema ancora come se il rasoio fosse al lavoro provando a scuoiare le mie fattezze come il vento che ora chiama, in lontananza, il mio nome.
Mentre tremo, lento un sorriso mi sale dal cuore e attorciglia le labbra, le palpebre sbattono un attimo veloci, un tremore scende lungo la schiena mentre si apre come delle ali e percorre le costole.
Sorrido nella notte, vedo le ultime foglie del ciliegio resistere a tutto. Sembra che loro mi sorridano, o forse hanno imparato a riflettere.
Non è veramente buio, non è veramente freddo, non è veramente silenziosa la notte che non riesco ad afferrare. Sono il re di questo attimo, sono il padrone di questo mare di niente, che niente ha da dire, che risposte non ha alle mie domande mai chieste.
Alzo una mano infreddolita, mi sfioro la fronte con poca grazia e mi sembra di impugnare una forca, un badile, un tridente con cui forzare le cose al mio corso.
Invece impugno solo la mia mano che impugna aria a malapena respirabile.
Sto invecchiando.
Il vento chiama ma non riesco a capire se mi voglia o mi scacci, non sento altro che il suo timbro imprimersi. Sorrido, questa volta più amareggiato, e penso alla stupidità di tutto questo. Sorrido di ghigno distorto perché non c'è senso. Sto dominando un istante, cavalco il buio e lo sprono verso l'intorpidimento. Lo voglio sfiancare per potermi stancare.
Adesso distinguo alcune parole, tra le ondate di freddo, sussurrate dal vento. Quindi è tutto qui?
Deludente che tutto ciò che lui abbia da dirmi è "scorri con me".
Da un lato lo capisco, però. Alzo le mani davanti a me e ascolto l'aria passare tra le dita. Alla fine il vento è solo. Scuote piante immobili, sbatte su muri verticali, si muove nel buio assenza di luce, nel silenzio assenza di suono, nel freddo assenza di caldo, nel vento assenza di assenza di vento.
Un altro brivido sale.
E io sbadiglio. Uno sbadiglio lungo e congelato, la pelle del viso stirata addosso al cranio e ghiaccio a granelli filtra nei bronchi.
Ci sono più cose che parole, ma ora come ora poche parole basterebbero a descrivermi. Dove scende la mano di fianco? Alla ricerca di cosa?
Bella divinità del cazzo una divinità che controlla l'istante più inutile e importante, più sfuggente ed eterno, più freddo e indescrivibile. Ah, "indescrivibile" lo descrive adeguatamente.
Bella divinità del cazzo che è onnipotente come il vento tediante che mi chiede di restare in piedi con lui, che mi prega in ginocchio di aiutarlo a sferzare quelle ultime foglie di ciliegio per farle morire.
Sembro una sentinella sveglia e all'erta che aspetta solo di essere attaccata. Dal buio.
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