Il fiato sul collo. Della civetta che si torce il collo, di grado in grado, come un ufficiale estenuato dalla vista di truppe carnecannonate.
Come simbolo di saggezza ci può stare, un 360° da half-pipe sul mondo. Lo sniper perfetto, camper della porta accanto che headshotta piovendo bossoli sul pavimento polveroso, come nemmeno regali dal camino la notte della vigilia. Grande civetta, si sfiata un mantello nella fredda Stalingrado.
Fiato sul collo. Tipo un corno inglese che protrude da in mezzo le scapole.
E sulla gola un'altra serie di ottoni che attutiti ti suonano l'Imperial March senza tappetti rossi né divise da russi in saluto marziale.
Fiato sul. Per appannare realtà vetrata e scriverci iniziali così poco originali da patrocinare la realtà ad altri. Essere prestanomi del proprio nome a persone che nemmeno conosco/conoscono. Come moltiplicare targhette metalliche al collo e accollarle ai compagni caduti in una giungla sub-urbana.
Fiato. Strascicato. Come se la carta vetrata nei bronchi non fosse sufficiente, ci si mette la pece sulle pareti interne dei polmoni a rendere inaffondabile la nostra cassa del tesoro toracica. O bruciabile con un torcia: Guerra&Pece, quel che non muore brucia. Fiato che sfonda il corpo con tanto browniano schifo da alimentare, così tanto caotico da essere indeterminabile.
Fiat. Azienda che se non ci fosse bisognerebbe bruciarla.
I.A. . Che forse sarà la prima intelligenza.
A. That's Assentheismo.
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