Non è mai trasparente
la parete divisoria
che l’irrisoria
differenza tra noi separa.
E se commossa sfiora
la lacrima chiara,
quella mai sgorgata
è la lacrima più amara.
Incomunicabilità tra esseri umani. Non voglio, e non sono, e tanto meno pretendo, di essere disfattista perché, molto probabilmente, è palese l'ambiguità di esprimere espressamente l'inesprimibilità esprimendola.
Questo è forse il mio unico vero motivo di scrittura, la stella polare che segugio cerco, il topos a cui inevitabilmente ritorno ogni volta che impilo lettere su lettere e formo """discorsi""".
In anni e anni di esperimenti e esperienze sono giunto a capire princìpi fondamentali che regolano l'esistenza umana, ad un black-box level più astratto e meno rigoroso della biologia o della psicologia. Non sono, però, un accademico e non sono mai riuscito a imparare una convenzione che mi permettesse di "spiegare" quello che ho toccato.
E allora, fuck off, mi sono messo a scrivere.
(in realtà sono un accademico in altri campi molto più gay)
Quando anche si riesce, in una melma onirica e (sobria)^(-1), a provare nel tentativo di indicare un cammino che porti a un glimpse di ciò che si cerca di dire, tutto se ne va con l'arrivo del mattino e la percezione della prima luce che filtra dietro al velo: con dì vidére.
"Condividere" è una di quelle produzioni che con orgoglio cito a memoria (spesso citandola sbagliata) e la ritengo un pinnacolo del "tu ci leggi quel cazzo che vuoi, io ci leggo quello che voglio sentirmi dire".
Il problema è che se io stessi qua a spiegarla mi danneggerei (non so spiegarla!), quindi la lascio a marcire e punto.
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